domenica 28 dicembre 2008

ASSO PIGLIATUTTO

C'è un gioco in cui chi possieda un asso ha diritto di portar via tutte le carte che sono in tavola.Questo giuoco si chiama asso sbarazzino e anche asso pigliatutto. Quando uno è avido, pronto sempre ad arraffare, vien detto scherzosamente asso pigliatutto.

Dal libro di Dino Provenzal Perchè si dice così? Ed. Hoepli.

lunedì 22 dicembre 2008



Al ritorno dal pellegrinaggio a Lourdes, questa comitiva sosta a Parigi e visita tra l'altro l' Eurodisneyland. A quale anno si riferisce questa foto?
Facemm' a chi perd' perd' e diciamo che si tratta del 1985.
Bona salute, bella gè e pur' buon Natale.


LA BARBA NON FA IL FILOSOFO

Non c'è dubbio che la barba, specie se lunga e ampia,dà una certa maestà alla espressione del volto; e i filosofi antichi si lasciavano crescere un bel barbone per aggiungere autorità a se stessi e dar soggezione ai discepoli.
C'era anche un'altra ragione: un filosofo disse che si lasciava crescere la barba per ricordare a se stesso che non era più un fanciullo e aveva perciò il dovere di comportarsi saggiamente.
E' probabile dunque che qualche ignorante vanitoso portasse la barba per darsi l'aria di filosofo. Di qui la frase divenuta proverbiale e con significato più vasto. Oggi si potrebbe anche dire " la chioma non fa il musicista", perchè non tutti coloro che hanno una svolazzante capigliatura ( e altrettanto svolazzante cravatta) sono maestri nell'arte dei suoni.

Dal libro di Dino Provenzal "Perchè si dice cosi'? " Ediz. Hoepli.

giovedì 18 dicembre 2008



Il " Convito". Per i venafrani autentici si dice " I' Cummit' ". Altrove si dice "Pasquetta". Le seguenti foto risalgono, per l'appunto, a 'n Cummit' di quarantuno anni fa cioè del 1967 ! Credo di aver fatto cosa gradita. Ringrazio la Signora Adelina Marinelli per le foto.


lunedì 15 dicembre 2008

Canta che ti passa.

Parole scritte da un oscuro fante in una trincea nella guerra del 1915-1918 e che diventarono celebri. " Ti passa" che cosa? Il dolore, l'affanno, lo sgomento, la tristezza e anche l'uggia, la noia, la malinconia.
Veramente il canto ottiene questo effetto; e gli uomini lo sanno da un pezzo. Il Petrarca scrisse " perchè cantando il duol si disacerba" e Dante, quando, dopo aver visto gli orrori dell'Inferno, incontrò il musico Casella, lo pregò di cantare: sapeva che la dolcezza della musica gli avrebbe rasserenato l'animo afflitto.

Dal libro di Dino Provenzal. Perchè si dice così? Ed. Hoepli

sabato 6 dicembre 2008

LE GRANDI VIE DI COMUNICAZIONE.

I Romani, appena conducevano a termine la conquista di una grande regione, cercavano di congiungerla a Roma con grandi e comode vie militari e commerciali (fornite di viadotti, gallerie, ponti arditissimi su grandi fiumi) larghe da due a quattro metri, lastricate con grosse pietre, interrotte da pietre miliari.
Le principali di queste vie erano:
1° L'Appia, costruita dal censore Appio Claudio nel 362 a. C.; conduceva dalla porta Capena, sino a Capua; più tardi fu prolungata sino a Brindisi e a Reggio di Calabria, più tardi ancora a Messina e a Palermo.
La Flaminia, che conduceva da Roma a Rimini.
3° La Emilia, che ne era una prosecuzione, e passando per Bologna e l'Emilia, conduceva a Piacenza e a Milano, e con un ramo a Verona, poi ad Aquileia.Costruita dal console M. E. Lepido nel 180 a. C., si estese più tardi fico a Vienna.
4° La Valeria, che conduceva per la valle dell'Aterno al paese dei Peligni, sino a Corfinio.
5° La Aurelia, costeggiante il Tirreno, fino alla Liguria, più tardi fino a Marsiglia, a Tolosa, a Cadice.
6° L'Ostiense, che giungeva ad Ostia, lungo il Tevere.
Le pietre miliari indicavano la distanza da Roma.
Dopo la conquista della Gallia, si costruì anche in quei territori una fitta rete di strade.
Dal manuale " La vita pubblica e privata dei Romani" del Prof. Nerino Bianchi

giovedì 30 ottobre 2008

Luoghi e cose che...



raccontano Venafro.










































lunedì 6 ottobre 2008

VENAFRO...sotto la neve!

Lunedì, 7 Gennaio del 1985.
Alla sveglia mi trovai (come del resto i venafrani tutti si trovarono) difronte ad un insolito panorama, da favola, idillico, da immortalare. Subito.
La qualcosa fu fatta con la collaborazione dell'amico Sergio Rag. Di Giovanni che fermò - per espresso mio desiderio - queste istantanee di cui mi fece dono più che gradito.
Da allora sono trascorsi ben ventidue anni! Sembra ieri. Grazie amico mio " pur' mò p' tann'"(anche ora per allora). Possano raggiungere queste foto tutte le famiglie venafrane nel mondo che saluto fraternamente.
Buona visione.






















venerdì 26 settembre 2008

Un saggio di lirica olandese: "Le nozze d'oro".

Nello stesso villaggio
Eran cresciuti
Fanciulli insieme. Insieme a celebrare
Oggi le nozze d'oro eran seduti.

Veniano i lor parenti
Vestiti a festa;
Della sposa i fratelli, e una sorella
Vecchia di lui, la sola che gli resta.

Poi ch'ebbe i capei bianchi
Accarezzati,
Disse a sua moglie:- Il giorno delle nozze
Li avevamo anche allora incipriati.-

Un sorriso alla vecchia
Il labbro sfiora;
E disse lui: - Passarono tanti anni:
Oh come mai te ne ricordi ancora?-

A mensa il chiacchierio
Si confondea
Misto coi canti; ella cantò la vecchia
Canzone sua, la sola che sapea.

A lui spuntò una lagrima,
Sorrise appena,
E alla bimba pensò, ch'ella solea
Addormentar con quella cantilena!

Era l'unica figlia;
Ella fioriva
Rigogliosa di vita. E' tanto tempo,
Ma pur gli sembra di vederla viva.

Gli sedea sui ginocchi
Il suo tesoro,
E con l'anello suo giocar solea,
Solea giocar con la catena d'oro.

E la madre dicea
Ch'egli aveva torto
A guastarla così con le carezze.
Venne la febbre; e il suo tesoro è morto.

I suoi balocchi allora
E i suoi vestiti,
Le sue scarpette usate e la sua bambola
Furon raccolti insieme e custoditi.

La sua fossa di fiori
Hanno coperta;
Posta han la croce; e son rimasti soli,
E la casa restò muta e deserta.

E tanto e tanto omai
Tempo è passato,
E altre croci di legno il cimitero
Sulle tombe dei bimbi han popolato.

Passaar le nozze d'oro;
Alle lor case
Son gli ospiti tornati; ed ella sola
Col suo vecchio marito ivi rimase.

Trascorsero cinquanta
Anni, ed è sola!
A che pensa il buon vecchio? ella a che pensa?
Nè l'un nè l'altra non dicea parola.


Rosalia Loveling

Trad. di Leopoldo Bizio.

lunedì 22 settembre 2008

20 di Settembre...

Centra

dell'anno 2004. Quaranta anni di matrimonio. Agriturismo Colle Panetta, in quel di Carovilli.
E' lì che venni a conoscenza della esistenza della magnifica quanto stupenda pubblicazione "MONDO CONTADINO D'ALTRI TEMPI I costumi del Molise" scritta dalla prof.ssa Ada Trombetta di Campobasso, cui vanno le congratulazioni per l'opera veramente interessante dal punto di vista non solo storico ma anche per dovizia di materiale fotografico ivi prodotto. Grande la "sorpresa" nell'imbattermi in tale opera, posata su di un leggio, all'ingresso dell'agriturismo, un pò squinternata, a disposizione di chi volesse sfogliarla. Grande la "sorpresa" dicevo,
tanto da darne partecipazione ai miei figli che a mia insaputa, vista forse la mia intensa partecipazione emotiva, tempo dopo, inaspettatamente, come fulmine a ciel sereno,
mi regalarono un pacco contenente una fiammante copia del libro.
Orbene, essendo titolare di un modesto blog a nome di (benignomigliarino.it) ho chiesto telefonicamente il permesso all'autore dell'opera, prof.ssa Ada Trombetta che ringrazio veramente di cuore, per aver raccolto la mia richiesta - desiderio, di pubblicare qualche foto.
Grazie ancora gentilissima prof.ssa e cordiali saluti.

Trivento, Acquerello monocromo di G. Milani e R. Aloja, fine '700.



CERCEMAGGIORE, dopo la cerimonia nuziale, 1929.



Bojano, Approccio amoroso, 1938.




Roccamandolfi, Abiti di fine'800 fotografati nel 1940.




Acquerelli monocromi di Berotti e Santucci del 1798. Riguardano Carovilli nelle foto in alto e Civitavecchia (oggi) Duronia nelle foto in basso. Gli abiti sono visti anche con le figure da dietro.


Campobasso, Abito di fine '800.


domenica 14 settembre 2008

NEL TESTO DELLA...

mascherata intitolata "La Follia" il cui debutto avvenne nel 1928, si legge ... " qua i lèmuri a frotte/nell'orrida notte dovranno sparir...". Cosa sono questi lèmuri?
Dal latino Lèmures, secondo la cultura romana, la parola indicava una delle ricorrenze festive dette Lèmuria. Detta ricorrenza cadeva nei giorni 9,11,13 del mese di maggio ( in questi tre giorni di festa, i templi restavano chiusi, proibite le nozze) e consisteva in sacrifici espiatori per liberare la casa dagli spettri cattivi. Questi erano le anime dei defunti buoni e cattivi. I buoni erano venerati nella stessa casa col nome di Lares; i cattivi dicevansi Larvae, e andavano errando di notte, come spettri luminosi, per quelle stanze che abitarono da vivi.

martedì 2 settembre 2008

ARGUZIE E MOTTI CELEBRI.

Mentre in mezzo al foro si portava a seppellire un morto, gli si avvicinò un buffone, e gli sussurrò qualche cosa nell' orecchio. Interrogato da quelli che erano presenti che cosa gli avesse detto: - Gli ho
detto - rispose- che annunzi ad Augusto che nulla di quello che egli morendo ha lasciato in testamento alla plebe è stato pagato dal suo successore Tiberio. - Questi, udita tal cosa, comandò fosse il buffone portato al supplizio, affinchè egli stesso in persona portasse la notizia ad Augusto.

***

Filippo, re dei macedoni, essendo stato scelto come giudice tra due birbaccioni, udita la causa, pronunziò che l'uno fuggisse dalla Macedonia, l'altro subito lo seguisse. In tal modo mandò in esilio l'uno e l'altro.

***

Cicerone, avendo veduto il suo genero Lentulo di piccola statura al cui fianco era attaccata una spada lunghissima: - Chi - disse - ha legato il mio genero alla spada? Infatti sembrava che l'uomo fosse legato alla spada, non la spada all'uomo.

***

Un Pitagoreo aveva comprato da un calzolaio un paio di scarpe a debito. Dopo qualche tempo andò alla bottega per pagare. Avendola trovata chiusa e avendo lungamente picchiato, vi fu chi disse :- Perchè perdi inutilmente la tua opera? Il calzolaio che cerchi è morto e già sepolto. Il filosofo riportò a casa i tre o quattro denari che aveva portato seco. Dipoi quasi rimproverando a sè stesso la tacita compiacenza di non pagare, seco disse: - Quel calzolaio per te non è morto, ma vive. Rendigli dunque quello che gli devi. - Ritornò alla stessa bottega, e, attraverso la serratura, gettò i quattro denari. Ciò fatto, ritornò a casa contento.

martedì 26 agosto 2008

LA CARTA E L'INCHIOSTRO.

Vedendosi la carta tutta macchiata dalla negrezza dell'inchiostro, di quello si duole; il quale mostra a essa, che per le parole, che sono sopra lei composte, essere cagione della conservazione di quella. ( Non l'apparenza, sì la sostanza delle cose è quella che conta).


Leonardo da Vinci

mercoledì 20 agosto 2008

IL FALCONE E L'ANITRA.

Il falcone, non potendo sopportare con pazienza il nascondere, che fa l'anitra, fuggendosegli dinanzi e entrando sotto acqua, volle, come quella, sott'acqua seguitare, e, bagnatosi le penne, rimase in essa acqua; e l'anitra, levatasi in aria, schernìa il falcone, che annegava. ( Chi vuol far l'altrui mestiere... con quel che segue).


LEONARDO DA VINCI

sabato 16 agosto 2008

IL RAGNO E L'UVA.

Trovato il ragno uno grappolo d'uva, il quale per la sua dolcezza era molto visitato da ape e diverse qualità di mosche, li pare avere trovato loco molto comodo al suo inganno. E calatosi giù per il suo sottile filo, e entrato nella nova abitazione; lì ogni giorno, facendosi alli spiraculi fatti dalli intervalli de' i grani dell'uva, assaltava, come ladrone, i miseri animali, che da lui non si guardavano.
E passati alquanti giorni, il vendemmiatore, colta essa uva e messa con l'altre, insieme con quelle fu pigiato. E così l'uva fu laccio e inganno dello ingannatore ragno, come delle ingannate mosche. ( Chi fa male, male ha ).

mercoledì 13 agosto 2008

L'ASINO.

Nella stalla cominciò la conversazione. La mula prese a parlare col cavallo e a dir male del tollerante asinello. Essa godeva nel far così, perchè pretendeva d'appartenere alla ristocrazia, alla
famiglia equina... E sceglieva a preferenza quei discorsi che potessero umiliare il paziente asinello, che nel cantuccio più buio masticava un po' di paglia. - Io sono orgogliosa d' esserti parente - disse la mula al nobile morello. - Tu puoi veramente gloriarti de' tuoi antenati. - Sì - rispose il morello - i miei antenati portavano gli eroi su tutti i campi di battaglia; da per tutto raccolsero allori; ancora li cantano i poeti di ogni nazione. Leggi la storia, e in ogni pagina troverai il glorioso nome del cavallo.
- Veramente è una razza nobilissima la tua! - confermò la mula. Quindi soggiunse: - Dì, somaro, dov'è la tua gloria, dov'è la tua storia?
- Lascialo mangiare la sua paglia - fece in tono compassionevole, il cavallo.
E assaggiare il bastone - aggiunse la mula maligna. - Ad ogni modo mi piacerebbe udire il racconto delle sue glorie!
Ehi, somaro, svegliati, difenditi!
E l'asino parlò:
- I miei vecchi non hanno colto alloro su sanguinosi campi di battaglia; sul loro dorso non portarono cavalieri a seminare la rovina e la morte... Io sono un plebeo, misero e dimenticato.
Soltanto sopra il dorso di uno de' miei antenati entrò il Redentore in Gerusalemme col ramoscello della pace...
La mula e il cavallo chinaron le criniere a terra, umiliati, in silenzio.


R. JERETOV.

giovedì 7 agosto 2008

M A M M A !

Chiedi e richiedi a tutti gl' idiomi
la parola più dolce:
ti porgeran il fior di tutti i nomi
ad una voce sospirando: Mamma!
Cerca e ricerca per tutte le terre
la parola più santa:
in mezzo al pianto dell'umane guerre
udrai ch'è voce di natura, Mamma!
Oh perchè desta in brivido profondo
questo magico nome,
quando chiaman i bimbi, in tutto il mondo,
con lor boccucce di peonia: Mamma?
Ecco. I lor visi son pieni di colpa.
Ma qual dolcezza è in loro,
allorchè, per l'affetto che li scolpa,
con gli occhi biricchini pregan: Mamma!
Tutti almeno una volta hanno invocato
questo nome soave:
se la donna alla casa il cuor ha dato,
sommo onore esser salutata Mamma!
Or se qualcuno l'ha perduta e tanto
ne serbi desiderio
che gli tremoli nelle ciglia il pianto,
oh lasciatelo pianger meco: Mamma!

Carmen Sylva.

Traduzione libera di Carlo Da Premia.

lunedì 4 agosto 2008

IL MATERIALE FOTOGRAFICO...

è stato tratto dall'archivio del sac. don Filippo Palumbo e gentilmente messo a disposizione dalla prof.ssa Pina Veneziale che ringrazio di cuore.

Sua Altezza Reale il Principe Umberto durante una visita a Napoli (Posillipo )
al seminario vescovile.
Siamo nel 1933.




E' arrivato un bastimento carico di ... prelati crocieristi del 1954.




Il capitano marconista Gaetano Palumbo ( il secondo da sinistra, in alto ) zio della prof.ssa
Rosa Pelosi.


Ricreatorio festivo " Virtus et robur samnitica ". Il bimbo indicato dalla freccia è don Filippo Palumbo.




Il capitano marconista Gaetano Palumbo rispettivamente sul "DUCA D'AOSTA" del luglio 1912
nella cabina di trasmissioni radio telegrafiche e sulla " SAN GIORGIO " di Messina a NEW ORLEANS nel gennaio del 1915.




Ufficiali della Regia Marina. Gaetano Palumbo è il primo in alto a destra.


martedì 8 luglio 2008

PENSIERI SULLA NATURA.

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E' semplicità l'andar cercando i sensi delle cose della natura nelle carte di questo e di quello, più che nelle opere della natura, la quale, viva sempre ed operante, ci sta presente avanti agli occhi, veridica ed immortale ed immutabile in tutte le cose sue.

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I primi inventori trovarono e acquistarono le cognizioni più eccellenti delle cose naturali e divine, con gli studi e contemplazioni fatte sopra questo grandissimo libro, che essa Natura continuamente tiene aperto innanzi a quelli che hanno occhi nella fronte e nel cervello.

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Chi mira più in alto si differenzia più altamente; e il volgersi al grande libro della natura, che è il proprio oggetto della filosofia, è il modo per alzar gli occhi

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La natura è inesorabile ed immutabile e nulla curante che le sue recondite ragioni e modi d'operare siano o non siano esposte alle capacità degli uomini.

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Quello che a noi è difficilissimo a intendersi, alla natura è agevolissimo a farsi.

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Se noi vorremo riguardare più sottilmente gli effetti della natura, troveremo le più mirabili operazioni derivare ed esser prodotte da mezzi tenuissimi.

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Io dubito che il voler misurare tutto con la scarsa misura nostra, ci faccia incorrere in strane fantasie, e che l'odio nostro particolare contro la morte, ci renda odiosa la fragilità. Tuttavia, non so dall'altra banda quanto, per divenir manco mutabili, ci fosse caro l'incontro d'una testa di Medusa, che ci convertisse in un marmo o in un diamante, spogliandoci dei sensi e di altri moti, i quali senza le corporali alterazioni in noi sussistere non potrebbero.


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Se quello che vien chiamata corruzione fosse annichilazione, avrebbero i peripatetici qualche ragione a essergli così nemici; ma se non è altro che una mutazione, non merita cotanto odio; nè parmi che alcuno ragionevolmente si querelasse della corruzione dell'uovo, mentre di quella si genera il pulcino.

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Io per me reputo la Terra nobilissima ed ammirabile per le tante e sì diverse alterazioni, mutazioni, generazioni che in lei incessantemente si fanno. E quando, senza essere soggetta ad alcuna mutazione, ella fosse tutta una vasta solitudine di arena o una massa di diaspro, dove mai non nascesse, nè si alterasse o mutasse cosa veruna, io la stimerei un corpaccio inutile, pieno di ozio, e, per dirla in breve, superfluo e come se non fosse in natura.

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Adunque la natura ha prodotti e indirizzati tanti vastissimi e perfettissimi corpi celesti, impassibili, immortali, divini, non ad altro uso che a servizio della terra passabile, caduca e mortale?

Galileo Galilei.

sabato 5 luglio 2008

DAL DETTO AL FATTO, C'E' UN GRAN TRATTO.

Un tal meccanico d'Atene chiamato a dire come si sarebbe potuto muovere una certa colonna, fece un discorso lungo, eterno, per dimostrare come andava fatto secondo tutte le regole: quand'ebbe finito, s'alzò un altro, e disse secco secco: - Quello che ha detto costui io lo farò. - L'opera gli fu allogata.
Rammentino questo proverbio quelli che sono tanto corrivi a sbraitare: - Bisognerebbe fare, bisognerebbe dire, bisognerebbe correggere così e così.

Giuseppe Giusti.

giovedì 3 luglio 2008

LA VITA.

Ho veduto un contadino il quale camminava innanzi a un suo mulo carico di legne; e l'uomo alla cintola aveva una corda che lo cingeva, e sulle reni stretto fra la cintola e il giubboncello alquanto fieno.
In tal guisa adescava quella bestia, alla quale pur sempre parendo di raggiungere quel fieno, erano men gravi le legne, e passava la via quietamente. Il buon uomo di tratto in tratto se ne lasciava carpire una parte senza già arrestarsi, ma abbreviando il passo, e in modo che la bestia creder potesse non dalla maggior lentezza del padrone, ma dalla sua maggiore velocità ciò venire.
Questa cosa mi commoveva; e mi pareva la storia dell'uomo, di cui la vita è segnata qua e là da qualche gioia ch'egli va pur continuamente cercando. - E Dio è come quel contadino: di tanto in tanto Egli ci largisce qualche consolazione, acciocchè noi non ci stanchiamo per via, vedendo l'inutilità delle nostre continue ricerche del ben vivere, e non ci venga disgusto della vita.
Oggi tornavo alla sentenza di stamattina vedendo come un villano il quale aveva comperato un vitellino al mercato, perchè camminasse per luoghi affatto a lui nuovi e lontano dalla dolce madre e dalla mandra, traeva spesso un granello di sale, e postoselo sulla palma della mano lo dava a leccare a quella bestiola; e spesso alzava la sferza. Così, o vitellino, tutta la tua vita, io dicevo; tutta così.

G. Scalvini.

giovedì 26 giugno 2008

UN DEBITORE SINGOLARE.

Un povero galantuomo aveva un debitore di una natura singolarissima. Ogni volta che questi lo incontrava, invece di scantonare o soffiare il naso per far finta di non vederlo, gli andava incontro, e stringendogli la mano in atto di scusa confidenziale, diceva: - Il debitore non deve mai sfuggire il creditore; un onest'uomo che vuol pagare, pittosto che fare una porcheria come certuni, confessa di non potere e si rimette nella bontà di chi avanza da lui. -
Quello, vinto da assiomi così veri e così stringenti, allungava la fune ( pazientava ancora ), ma allunga oggi allunga domani, e non venendo mai a capo di nulla, un giorno gli scrisse questa lettera:

Caro mio, " Non ho trovato mai in vita mia un uomo più pronto di voi a confessare i suoi obblighi, e meno sollecito a soddisfarli. Se la natura m'avesse voluto scrittore di commedie, ringrazierei la fortuna di avermi fatto capitare sott'occhio un capo ameno come il vostro, e volentieri darei di frego alla partita ( cancellerei il debito). A voi poi non dovrebbe rincrescere di passare in qualche modo alla posterità, prestando alla scena il tipo d'una delle tante contraddizioni umane. Il Burbero Benefico, l' Avaro Fastoso ( commedie che il Goldoni compose a Parigi in francese ) credo gradirebbero la compagnia del Galantuomo che non paga mai".

Giuseppe Giusti.

domenica 22 giugno 2008

VALORE DEL PROPRIO VALORE.

Ciò che un uomo è per se stesso, ciò che l'accompagna nella solitudine, e ciò che nessuno saprebbe dargli o togliergli, è evidentemente più essenziale per lui che tutto quello ch'egli può possedere o che può essere agli occhi altrui.
Un uomo di spirito, nella solitudine la più assoluta trova ne' suoi pensieri e nella sua fantasia di che spassarsi dilettevolmente, quando invece l'individuo povero di spirito potrà variare all'infinito le feste, gli spettacoli, i passeggi e i divertimenti, senza riuscir a scacciar la noia che lo tortura. Un buon carattere, moderato e dolce, potrà essere contento nell'indigenza, mentre tutte le ricchezze del mondo non saprebbero soddisfare un carattere avido, invidioso e malvagio. In quanto all'uomo dotato in permanenza d'una individualità straordinaria, intellettualmente superiore, egli può far senza della maggior parte di quei piaceri a cui generalmente aspira la gente; anzi questi non sono per lui che un disturbo ed un peso.

A. Schopenhauer.

mercoledì 18 giugno 2008

ADDIO ALLA GIOVINEZZA.

Addio fresca e spensierata giovinezza, eterna beatitudine dei vecchi numi d'Olimpo, e dono celeste ma caduco a noi mortali! Addio rugiadose aurore, sfavillanti di sorrisi e di promesse, annuvolate soltanto dai bei colori delle illusioni! Addio tramonti sereni, contemplati oziosamente dal margine ombroso del ruscello, o dal balcone fiorito! Addio vergine luna, inspiratrice della vaga melanconia e dei poetici amori, tu che semplice scherzi col capo ricciutello dei bambini, e vezzeggi innamorata le pensose pupille dei giovani! Passa l'alba della vita come l'alba di un giorno; e le notturne lagrime dal cielo si convertono nell'immensa natura in umori turbolenti e vitali. Non più ozio ma lavoro, non più bellezza ma attività; non più immaginazione e pace , ma verità e battaglie. Il sole ci risveglia ai gravi pensieri, alle opere affaticate, alle lunghe e vane speranze, e s'asconde la sera lasciandoci un breve e desiderato premio d'oblio. La luna ascende allora la curva stellata del cielo, e diffonde sulle notti insonni un velo azzurrino e vaporoso, tessuto di luce, di mestizia, di rimembranze e di sconforto. Sopraggiungono sempre più torvi ed accigliati, come padroni malcontenti dei servi; sembrano vecchi cadenti all'aspetto, e più son canute le fronti, più le orme loro trapassano rapide e leggere. E' il passo dell'ombra che diventa gigante nell'appressarsi al tramonto. - Addio atrii lucenti, giargini incantati, preludi armoniosi della vita!... Addio verdi campagne, piene di erranti sentieri, di pose meditabonde, di bellezze infinite, e di luce, e di libertà, e di canti d'augelli! Addio primo nido d'infanzia, case vaste ed operose, grandi a noi fanciulli, come il mondo agli uomini, dove ci fu diletto il lavoro degli altri, dove l'angelo custode vegliava i nostri sonni consolandoli di mille visioni incantevoli! Eravamo contenti senza fatica, felici senza saperlo e il cipiglio del maestro, o i rimbrotti dell'aja erano le sole rughe che portasse in fronte il nostro destino! L'universo finiva al muricciolo del cortile; là dentro se non era la pienezza di ogni beatitudine, almeno i desiderii si moderavano, l'ingiustizia prendeva un contegno così fanciullesco, che il giorno dopo se ne rideva come d'una burla.

Ippolito Nievo.

martedì 17 giugno 2008

APPREZZATE LA VITA.

La vita mi sembra un dono che acquista di giorno in giorno un maggior valore. Io non ho trovato che la vita fosse un'onda spumante e insipida; in verità, non amo questo vecchio paragone. La vita è un bene per noi. Se potessi veder gli altri così contenti come io sono, qual mondo sarebbe il nostro! Ma questo mondo è buono, nonostante le nubi che lo attraversano.


W.E. Chauning ( Trad. di Cossu).

domenica 15 giugno 2008

NON INEBRIATEVI DELLA SORTE PROPIZIA.


Vi è più ragione di ridere quando sei in fondo, che quando sei in cima: almeno tu non temi di dar la balta. Il riso dell'uomo felice può essere smentito da un momento all'altro. La fortuna non fa contratti perpetui con nessuno; il suo corso è a spirali, e non rettilineo. Oggi t'abbraccia e ti mette sul capo un diadema; dimani ti taglia la testa, e la dà per balocco all'abbietto che faceva da sgabello a' tuoi piedi.

C. Bini

sabato 14 giugno 2008

OPPONETE LA SAGGEZZA AL DESTINO.

Non vi è fatalità vera che in certe sventure esterne, come le malattie, la morte inopinata delle persone care, ecc.; ma non esiste una fatalità interiore. La volontà della saggezza ha il potere di rettificare tutto ciò che non colpisce mortalmente la nostra vita fisica. Spesso, anzi, la saggezza riesce ad introdursi nello stretto dominio delle fatalità esteriori e a modificarle.

M. MAETERLINCK (Traduzione di C. Z.)

lunedì 9 giugno 2008

LE VOCI DEGLI ANIMALI.

Aristotele ritiene che non abbiano vera e propria voce se non gli animali che respirano per mezzo dei polmoni, perciò gli insetti hanno suono e non voce, per il fatto che l'aria si muove dentro il loro corpicciolo e trovandosi come rinchiusa risuona. Alcuni mandano un ronzio come le pecchie, altri, se li tocchi, uno stridore come le ciale. Queste infatti, ricevendo l'aria nelle due cavità che hanno sotto il petto, per l'urto stesso che l'aria fa contro una membrana mobile dalla parte interna, vengono come a risonare. Le mosche, le api e simili animali si odono soltanto quando volano, perchè il lor suono è prodotto dalla vibrazione delle ali e dell'aria che han dentro e non dal fiato. Si sa per certo che le locuste risuonano per lo stropicciare delle ali e delle cosce. I molluschi e quelli che hanno guscio non hanno nè suono nè voce, ma tutti gli altri animali che sono del genere dei pesci, sebbene siano privi di polmone e di arteria, non sono del tutto privi di suono. Alcuni ritengono, ma senza alcun fondamento, che quel rumore dei pesci sia prodotto dai denti. Il pesce che si chiama capro nel fiume Acheloo manda fuori una specie di grugnito come il porco e similmente altri pesci, dei quali abbiamo parlato. Gli animali che fanno uova hanno il fischio, il quale è lungo nelle serpi, spezzato nelle testuggini. Le rane hanno un suono proprio della specie loro, come quello che si forma nella bocca, non nel petto. Ma del resto molto influisce su loro la natura dei luoghi. Dicono che esse sono mute nella Macedonia, come sono muti là i cinghiali.
Fra gli uccelli quelli più piccoli sono i più loquaci. Alcuni fan sentire la loro voce quando combattono, come le quaglie; altri prima della zuffa, come le starne; altri quando han bell'e vinto, come i galli. Questi hanno una voce loro propria; altri l'hanno uguale alle femmine, come gli usignoli. Alcuni cantano tutto l'anno, altri solo in certi tempi. L'elefante manda fuori un suono, che si forma sotto le narici ossia nella bocca stessa, simile ad uno starnuto: a traverso le narici poi vien fuori cavernoso come quelli di una tromba. Le vacche soltanto hanno voce più forte dei maschi; invece in tutti gli altri generi di animali la voce è più debole nelle femmine. Del bambino che nasce non si ode nessuna voce, finchè non sia del tutto uscito dall'utero materno, ma a parlare propriamente non comincia se non dopo un anno. Bene è vero che il figlio di Creso parlò a soli sei mesi, quando ancora bamboleggiava, ma quel prodigio segnò la fine di tutto quel regno. Quelli che cominciano molto presto a parlare sono poi i più restii a camminare. La voce diventa robusta a quattordici anni, s'assottiglia nella vecchiaia; in nessun altro animale va soggetta a mutazioni quanto nell'uomo. La voce porta con sè gran parte del viso dell'uomo, cosicchè per essa noi riconosciamo alcuno prima di vederlo, come se avessimo su lui posto lo sguardo, e tante sono le voci, quanto gli uomini, avendo ciascuno la sua voce, come ciascuno il proprio volto. Di qui tanta diversità di popoli e di lingue; di qui tanta varietà di ritmi e di modulazioni nel canto. Ma più d'ogni altra cosa è il mezzo più potente di far palese l'animo nostro, e questa manifestazione dell'animo non solo distingue l'uomo dalle fiere, ma anche porta tra gli uomini stessi una differenza non inferiore a quella, onde esso si distingue dalle fiere.

PLINIO IL VECCHIO Trad. di Guido Pasquetti.

sabato 7 giugno 2008

IL FLUIRE DEL TEMPO.

L'acqua che tocchi de' fiumi è l'ultima di quella che andò; e la prima di quella che viene: così il tempo presente.

Da " I PENSIERI " di Leonardo da Vinci.

IL TEMPO E LE COSE

Oh tempo consumatore delle cose! Oh invidiosa antichità, per la quale tutte le cose sono consumate dai duri denti della vecchiezza a poco, a poco con lenta morte! Elena, qundo si specchiava, vedendo le vizze grinze del suo viso fatte per la vecchiezza, piagne e pensa seco, perchè fu rapita due volte!
Peccato che questo pensiero non si sia concretato in un quadro: certo avremmo avuto un capolavoro di più e dei più umanamente interessanti.

Da " I PENSIERI " di Leonardo da Vinci

BUON USO DELLA GIOVINEZZA

Acquista cosa nella tua gioventù, che ristori il danno della tua vecchiezza. E se tu intendi la vecchiezza aver per suo cibo la sapienza, adoperati in tal modo la gioventù, che a tal vecchiezza non manchi il nutrimento.

Da "I PENSIERI" di Leonardo da Vinci

sabato 24 maggio 2008

LA VOLPE, IL CANE E IL GALLO.

Il cane e il gallo, fatta amicizia, viaggiavano insieme; li sorprese la notte ( mentre viaggiavano, furon colti dalle tenebre ) : andarono in un luogo selvoso ( andarono in una foresta, in un bosco ), e il gallo montò sopra un albero e s'adagiò ( s'accovacciò a proprio agio, cioè comodamente, tra i rami ); il cane sotto, nel cavo ( si sdraiò nella cavità del tronco. Si ricordi che nella parte inferiore delle piante annose si formano grosse buche e larghe aperture, che son palese testimonianza della veccchiezza dell'albero.) del troco stesso, prese sonno si addormentò. Già finiva la notte, l'alba sopraggiungeva, quando ( intendi : allora) il gallo, secondo il suo costume ( come è solito far tutte le mattine ), cominciò con gran voce a cantare. La volpe, a sentir ciò, desiderosa di mangiarselo, venne; e fermatosi sotto all'albero, gli gridò: - Oh tu sei pur l'egregio ( intendi: sei un animale che, per le tue doti, ti distingui tra gli altri ) animale ed utile agli uomini! Deh, scendi che possiamo cantare qui insieme il canto del mattino e godercela.
Ma il gallo rispose: - Fatti, amica, costà sotto alla radice dell'albero, e chiama il mio portinaio.
La volpe andò per chiamarlo; e il cane, sbalzando fuori di botto, la sbranò.

NiccolòTommaseo.

giovedì 22 maggio 2008

UN CACCIATORE NEL L'ORTO.

Certo ortolano non poteva venire a capo di salvare i suoi cavoli, chè una maledetta lepre quanti ne nasceva, tanti gliene mangiava; ond'ebbe ricorso ( ricorse, si raccomandò ) a certo cacciatore suo vicino, raccomandandosi che andasse a cacciargliela. Questi glielo promette; ed un bel giorno arriva co' cani, che, sguinzagliati sopra la lepre, la perseguitano di su e di giù, facendo maggiore danno in un'ora che la lepre in un anno. Al fine la lepre scappa: il cacciatore chiede la mancia e consiglia l'ortolano a turar le buche della siepe, donde la lepre potrebbe rientrare nel verziere.
( verziere = orto).


Francesco Domenico Guerrazzi.

Di Livorno, nato il 1804, morto nel 1873. Godette vasta fama nel secolo XIX come scrittore di romanzi. Fu anche uomo politico. I suoi scritti migliori sono i racconti semplici, le brevi e argute narrazioni lontane dalla retorica e dall'enfasi, che sono proprie dei suoi romanzi.

mercoledì 21 maggio 2008

LA FESTA IN CIELO.

Il padre degli Dei diede una volta una festa nel suo palazzo azzurro.
Furono invitate tutte le virtù, però soltanto quelle femminili; non fu ammesso nessun uomo; soltanto donne poterono recarsi alla festa.
Intervennero molte; piccole e grandi. Queste ultime erano più amabili ( perchè chi è veramente grande, non conosce nè invidie nè gelosie. E' un'acuta e bella osservazione); tutte però parevano contentissime e s'intrattenevano amichevolmente fra di loro, come si conviene tra parenti stretti e tra buoni conoscenti.
Ad un tratto l'Onnipotente s'accorse che due belle signore parevano non conoscersi.
Il padrone di casa ne prese una per mano e condottala dinanzi all'altra - La Beneficenza - disse, indicando la prima - e La Gratitudine - soggiunse, presentando la seconda.
Le due virtù rimasero confuse; dalla creazione del mondo - epoca abbastanza remota - era la prima volta che s'incontravano ( Anche nella vita vediamo sovente che la Gratitudine e la Beneficenza non si conoscono! ).

Ivano Turghenieff.

martedì 20 maggio 2008

IL MENDICANTE.

Passeggiavo per la strada; un vecchio infermo mi fermò.
Occhi infiammati; labbra livide; cenci luridi; piaghe ributtanti. Oh, come la povertà aveva mostruosamente deformato quell'essere infelice! Egli stendeva la mano rossa, gonfia, sudicia; singhiozzando implorava aiuto.
Mi frugai in tasca. Non avevo la borsa; cercavo l'orologio, il fazzoletto; avevo dimenticato tutto a casa. E il poveretto aspettava sempre, e la mano stesa tremava e si contraeva debolmente. Ero confuso, inquieto... Che fare?... strinsi forte quella mano sudicia e tremante.
- Fratello, perdonami; non ho proprio nulla con me.
Il mendìco mi fissò coi suoi occhi infiammati: le sue labbra livide s'atteggiarono a un sorriso, ed egli strinse alla sua volta le mie dita irrigidite e convulse.
- Va bene, fratello - balbettò egli- grazie. Anche questa è un'elemosina, fratello.
Commosso, sentii d'aver ricevuto io l'elemosina da un mio fratello.

Ivano Turghenieff.
Insigne romanziere russo del secolo XIX. Visse dal 1818 al 1883.

venerdì 16 maggio 2008

UNA CARITA'.

A Barcellona una sera, dinanzi ad un caffè, un povero diavolo cantava l'aria della Calunnia nel Barbiere di Siviglia ( Di Gioacchino Rossini ), accompagnandosi con una chitarra. Ridevano tutti, ma erano risa di beffa perchè la voce del cantore era rauca, e la chitarra scordata. Quando il disgraziato, che aveva la fame scritta in tutta la persona, ma più negli occhi, andò in giro per raccogliere l'elemosina, il primo a cui si accostò gli disse una villania, e il secondo gli volse le spalle. Il meschinello allora non osò proseguire il suo giro, mandò intorno uno sguardo smarrito, raccattò il berretto, che aveva deposto a terra, e fece atto di andarsene. Noi eravamo seduti lì presso, ed io aspettava, col mio obolo in mano, che il disgraziato cantore si avvicinasse. Sai tu che fece Iginio? Con uno sguardo ridente mi disse: Aspettami. Poi lasciò il tavolino e raggiunse il mendicante. " Prestami la tua chitarra " gli disse. - E là, in faccia a tutta la gente del caffè, in mezzo alla folla dei passanti che ingrossava sempre intorno a noi, cantò, come sapeva far lui, l'aria della Calunnia.
- Era una cosa bella; una cosa bella, sebbene la chitarra fosse scordata. Gli applausi che scoppiarono in ultimo mi commossero. Restituì la chitarra al poveraccio, e lo mandò in giro a raccogliere l'obolo... Ad ogni moneta che veniva buttata nel suo berretto, quell' infelice vi lasciava cadere una lagrima.

Salvatore Farina.

mercoledì 14 maggio 2008

UNO STUDENTE PIU' FURBO DEL DIAVOLO.

Il diavolo insegnava una volta nella città di Salamanca. Egli aveva dichiarato ai suoi uditori che, a corso finito, avrebbe tolto in pagamento, anima e corpo, colui che rimarrebbe ultimo nell'aula. Venuto il giorno stabilito, gli uditori traggono a sorte chi debba soddisfare il debito. Rimase ultimo uno studente, il quale, al diavolo che sta per ghermirlo, addita l'ombra propria sul muro.
Il diavolo, stimandola persona, si avventa per acciuffarla, e intanto lo studente se la svigna.


Arturo Graf.

lunedì 12 maggio 2008

GRADINO E SCALINO.

L'uso, perpetuo dominatore delle lingue vive, ha nobilitato il gradino, assegnandolo alle grandi opere di architettura, cui si ascende per maestose scalinate, e lasciando scalino ad ogni scala fatta per mero bisogno, e senza nessun ornamento... Quindi diciamo i gradini di S. Pietro, i gradini delle scale del duomo, i gradini dello scalone; ma farebbe ridere le brigate chi dicesse i gradini della scala di casa, i gradini pei quali si scende alla cantina e simili.
In quel fortunato paese ove monna Sandra e messer Pippo ( in Toscana, dove i popolani stessi parlano con mirabile proprietà, e, per la natural conoscenza della lingua, distinguono prontamente le voci proprie dalle improprie ) sono i migliori maestri di questa proprietà della lingua, camminando io tutto assorto nelle fiere memorie ( memorie della storia di Firenze ) che risvegliavano in me quelle piazze, quei palazzi e que' monumenti della toscana grandezza, urtai col piede in uno scaglione che dalla porta di una bottega sporgeva sulla via e risentitomi pel dolore gridai : Oh maledetto gradino! Il linguacciuto padrone che stava allo sportello, ghignando mi ripigliò: Lo dica pure scalino, perchè qui non siamo in chiesa.

GIUSEPPE GRASSI.

G. GRASSI, torinese, scrisse il Dizionario militare e quello dei Sinonimi. Visse dal 1779 al 1831

sabato 10 maggio 2008

I DUE VOMERI.

Da un medesimo ferro e da una medesima fucina, uscirono due vomeri; uno capitato nelle mani di un bifolco; l'altro fu deposto nel cantuccio d'una rimessa, ove giacque inoperoso e irruginì. Dopo qualche tempo gli agricoltori trassero fuori il vomero irruginito; questo guardò attorno e vide l'altro vomero liscio e lucente come uno specchio.
- Non eravamo noi uguali? - gli disse. - Chi ti rese così splendido?
- L'esercizio e il lavoro - rispose l'altro; e gli passò avanti tirato da quattro buoi.

LUIGI ALESSANDRO PARRAVICINI.

Il Parravicini, di Milano, fu scrittore educativo. ( 1800 - 1880 ).

venerdì 9 maggio 2008

IL PIPISTRELLO.

il pipistrello, appostato e ghermito dal gatto, si fece a dirgli: " Compare, credi tu di fare il tuo prediletto pasto di un topo? Non vedi alle mie ali che io non sono topo, ma uccello? e per di più sappi che la mia carne puzza di selvatico che ammorba. Lasciami andare, che ti additerò ben io dove potrai fare un fianco ( fare un pasto eccellente e abbondante) da imperatore ". Il gatto sghermì ( qui significa ritrasse le unghie e lo lasciò libero) ; e il pipistrello volò via. Poco appresso però fu preso alla rete da un cacciatore, il quale stava già per mettergli le mani addosso, quando l'amico si fece a dirgli: " Messere, avete fatto mala preda: quardatemi bene: non lo vedete? io sono un topo e non un uccello ". Il cacciatore apre le reti e il caro pipistrello leva il volo e s'allontana, beffando in cuor suo la dabbenaggine così del gatto come del cacciatore, ed esaltandosi in se medesimo della sua astuzia ( così operano molti furbacchioni che mai non mostrano chiaramente la loro natura).

Pietro FANFANI.

martedì 6 maggio 2008

LA BARA E LA CULLA.

Mastro Giosco canta allegramente, mentre sega due lunghe assi d'abete. Canta e sega Mastro Giosco. Intanto sulla soglia si ferma con la pipa fra i denti compar Pietro. Tirando due boccate di fumo, questi chiede:
- Mastro Giosco, perchè canti così allegramente? Che cosa fai?
- Faccio una bara.
- Una bara? Hai scelto due assi troppo lunghe. Che cosa farai con i pezzi d'avanzo? Son troppo piccoli, compare! ti toccherà sprecarli. Avresti dovuto scegliere due assi più corte.
- No, compar Pietro; gli avanzi mi saranno utili. Con questi due piccoli pezzi di asse, farò una culla, una piccola culla da contadini, semplice e bella.
Compar Pietro rimane pensoso; il lavoro di Mastro Giosco rapidamente progredisce; e a lui sembra di vedere in un angolo la Morte dalle vuote occhiaie ghignare sopra una fossa buia e di fronte la Vita lietamente sorridere al sole e alla luce.
Così è il mondo.
R. K. Jeretov

Riduzione di Carlo da Premia.

sabato 3 maggio 2008

FA QUELLO CHE SAI FARE

Una scimmia, un asino, un montone ed un orso si cacciarono in testa di concertare un quartetto.
Procacciàti musica e strumenti, si adunano sotto un folto gruppo di tigli. Provano, riprovano, il quartetto non va. Dice la scimmia:
- Finchè stiamo in piedi non se ne fa nulla: a sedere. Daccapo. - Gli archi raschiano, le corde stridono; fastidio, non musica.
L'asino allora:
- Ho capito: bisogna mettersi in fila.
Detto fatto. Ricominciano; peggio di prima. Intanto dall'alto dei tigli, gorgheggia un usignuolo.
- Oh! giusto te! Consigliaci.
- Cari miei, vi manca l'arte e l'orecchio; non siete nati alla musica, o ritti o seduti, o raccolti o schierati, per fare che facciate, non suonerete se campaste cent'anni.

Ferdinando Martini

Scrittore toscano nato a Monsummano il 1841; commediografo, critico, uomo politico. Fu ministro della Pubblica Istruzione.

giovedì 1 maggio 2008

NIUNO E' CONTENTO.

Uno, che aveva due figliuole, diede la prima in moglie a un ortolano e l'altra a un vasaio. Passato del tempo, andò a quella dell'ortolano e le domandò come andavano le cose sue. Ed ella: " Tutto va bene: solamente io prego il cielo che venga un pò di pioggia per annaffiare gli erbaggi".
Non molto dopo andò da quella del vasaio, e domandò anche a lei come stava. Ed ella: " Non ho bisogno di nulla: solo io prego che faccia un pò di bel tempo e si lasci vedere il sole per seccar bene i cocci" ( sono propriamente i rottami dei vasi di creta; qui è detto per cretaglie, vasi di argilla). Il padre allora: " Tu desideri il sereno, tua sorella vuol la pioggia. Per quale voi due ho io a volgere al cielo le mie preghiere?".

N. Tommaseo

Poeta, filologo, critico e uomo politico, nacque a Sebenico in Dalmazia, il 1802, morì a Firenze il 1874.
Fu prosatore incisivo.

venerdì 25 aprile 2008

I sensi degli animali.

Il gusto e il tatto sono i sensi più perfetti nell'uomo ma esso è superato negli altri sensi da molti animali. Le aquile hanno vista più acuta, gli avvoltoi odorato maggiore; le talpe odono meglio, ancorchè vivano sotto terra, elemento così per natura duro e sordo. Infatti esse sentono il nostro parlare, sebbene la voce tenda ad innalzarsi, e, se si parla di loro, dicono che tosto se ne avvedono e fuggono altrove. Non è verosimile che le ostriche marine abbiano l'udito, ma si dice che esse, appena sentono rumore, si tuffano nell'acqua: per questo coloro che vanno alla pesca son soliti mettersi in silenzio. Certamente anche i pesci non hanno nè membra nè fori atti all'udito, ma è certo che odono, come dimostra il fatto che noi li vediamo nei vivai ad un dato rumore radunarsi e prender l'esca, come pure nelle vasche di Cesare (probabilmente ne' giardini dell'imperatore Vespasiano) varie razze di pesci si avanzano a nome a prendere il cibo... E non vi è dubbio che abbiano anche l'odorato, perchè non tutti si prendono con la medesima esca, e questa ben bene fiutano prima che si decidano ad ingoiarla. Il polpo non si può staccare dallo scoglio, ma, se vi accosti un pò d'erba che si chiama santoreggia, subito si ritrae per fuggire quell'odore. (L'erba santoreggia è una pianta detta comunemente cunella - latino cunila - della famiglia delle labiate, assai in uso presso gli antichi nella pratica dela cucina, come l'aglio e la cipolla. Se ne conoscono e se ne coltivano diverse specie, delle quali una specialmente è ricordata per il suo sapore acre ed irritante). Le serpi fuggono l'odore del corno di cervo, le formiche muoiono all'odore dell'origano o della calcina o dello zolfo. Le zanzare sono attratte dalle cose acetose, ma non volano sulle cose dolci. Il tatto è senso comune a tutti gli animali, anche a quelli che son privi degli altri sensi; infatti lo hanno anche le ostriche e i vermi della terra.

PLINIO IL VECCHIO
(Traduzione di Guido Pasquetti). Dalla "Naturalis Historia" di Plinio il Vecchio

mercoledì 23 aprile 2008

La tomba del ricco e la tomba del povero.

Ho veduto il figlio di un ricco che sedeva presso la tomba di suo padre e aveva attaccato disputa col figlio di un povero, e diceva: - L'arca del sepolcro di mio padre è di pietra, e v'è un'iscrizione dipinta e v'è posto sotto uno strato di marmo, e vi sono incastrate lastre di turchesi. Nella tomba del padre tuo che resta mai? Vi sono stati posti insieme due mattoni e vi è stato gettato sopra un pugno o due di terra. - Il figlio del povero stette ad ascoltare; poi disse: - Taci! che prima che il padre tuo si sia mosso di sotto a queste pietre pesanti, il padre mio già sarà giunto in paradiso.

SAADI
(Traduzione di I.Pizzi)

lunedì 21 aprile 2008

Povero vecchio!

un Vecchio, cui tremavano le ginocchia, saliva lentamente il clivo (collina, pendìo) Capitolino. Tutti i cittadini, che lo vedevano, lo salutavano con grande venerazione: egli era infatti uno dei più illustri uomini della città. Quattro ragazzi, che giocavano sulla via, visto il vecchio si misero a gridare: - Chi sei? donde vieni? perchè tremi così? vieni qua: vogliamo giocare alla palla con te. - Il vecchio con faccia serena: - Le vostre ingiurie - disse - mi dispiacciono, perchè dimostrano la vostra inurbanità (maleducazione, inciviltà dei modi). Voi non sapete chi sono, ma io più volte ho combattuto, e porto ancora i segni delle ferite; quindi molto più grave è il vostro fallo. Voi offendete non solo un povero vecchio, ma anche un glorioso difensore della patria. Alle quali parole commosso un cittadino, che lì si trovava percosse col bastone il più insolente dei quattro ragazzi. Questi, veduto il pericolo, fuggirono. Il buon vecchio a passo lento continuò il suo cammino.

Dagli scrittori latini.

sabato 19 aprile 2008

IL POZZO DELLA VERITA'

Un uomo dabbene, avendo udito dire che la Verità sta in casa nel fondo di un pozzo, s'immaginò, senz'altro, che quel pozzo avesse ad essere il suo, e prese partito di volernela trar fuori, per farsene una buona massaia. Egli è certo che la Verità sarebbe una gran buona massaia, chi riuscisse a condursela in casa (Intendi: sarebbe una buona massaia per chi riuscisse a condursela in casa) e le facesse smettere quel mal vezzo di occuparsi in tante cose astratte, che non ci giovano e non ci riguardano. Ond'è che, senza por tempo in mezzo, cominciò a mandar giù il secchio in quel suo pozzo, ch'era molto grande e profondo, e a tirarnelo su pien d' acqua; e ripetendo il gioco infinite volte, sempre s'aspettava di trovar nel secchio la Verità, e non trovandovela,versava l'acqua in terra e la lasciava sperdere. Durò in questa fatica più giorni, tanto ch'ebbe votato il pozzo; e pur non volendosi capacitare, si legò alla fune e si fece calare in quel fondo; ma non vi trovò se non molta melma, nella quale frugando, s'infardò (infardarsi: imbrattarsi) ben bene.
Così rimase senza la Verità e senza l'acqua, e poco mancò che quella state (aferesi di estate) non morisse di sete. E gli andarono a male il giardino e l'orto.

Arturo Graf

Nacque ad Atene il 19 Gennaio 1848. Insegnò letteratura itajiana nella R. Università di Torino.

La verità è in un pozzo: frase tradizionale, diventata popolare. Intorno ad essa così scrisse Gaspare Gozzi nel secolo XVIII: "Questa sentenza vuol notificare agli uomini che la verità è occulta, sta in una grandissima profondità e che è una fatica e uno stento gravissimo il ripescarla e il tirarla fuori di quelle tenebre e scoprirla agli occhi dei mortali".

domenica 13 aprile 2008

L'ORIGINE DELLE NOZZE D'ARGENTO.

Molti sono curiosi di conoscere l'origine della cerimonia delle nozze d'argento, che si usa celebrare dopo venticinque anni di matrimonio, come si celebra dopo cinquant'anni quella delle nozze d'oro.
Dopo qualche paziente ricerca ne' più antichi volumi di storia si è trovato questo racconto.
Il monaco di Cluny (in Francia, celebre per l'abbazia benedettina, fondata nel 910), che scriveva cronache dal 1000 al1040, racconta: " Ugo Capeto, che fu re di francia nel 987, visitando i sobborghi di Parigi, dove aveva da liquidare l'eredità di uno zio mercante di bestie, trovò al servizio di costui in villano che era incanutito nel lavoro mantenendosi celibe e dimostrando un grande attaccamento al padrone; sicchè per venticinque anni non si erano disgustati mai ed era diventato come persona di famiglia.
Nella stessa fattoria, dalla stessa epoca e con gli stessi meriti, ritrovavasi una donna, che a sua volta non era andata a marito.
Sentita la storia di costoro, Ugo Capeto, gentile e valorosa persona com'era, se li fece venire davanti, e disse alla donna: - Il tuo merito è grande assai più che non quello di costui, che pure è grandissimo, perchè ben più difficile cosa è la costanza della donna nella schiavitù del lavoro e dell'obbedienza, che non quella dell'uomo. Ora io vorrei darti un premio, nè so quale maggiore potrei darti all'età tua, di una dote e di un marito. La dote è pronta; questo fondo da oggi è cosa tua; se costui che lavorò teco per venticinque anni acconsente a impalmarti, è pronto anche il marito.
- Maestà - mormorò il villano confuso - volete voi che ci sposiamo coi capelli d'argento?
- E saranno nozze d'argento - rispose il re - e io vi darò fin da questo momento la fede nuziale.
E toltosi dal dito un anello d'argento tempestato di gemme, lo pose al dito della donna e unì le mani di quei due che lagrimavano dalla commozione.
L'avventura si riseppe in tutta la Francia e si proclamò con tanto clamore e con tanto entusiasmo di popolo, che vuolsi da essa abbia avuto principio la costumanza delle nozze d'argento, delle quali le nozze d'oro non sono che una imitazione alla stessa distanza.

Giuseppe Pitrè


G. Pitrè, medico e letterato siciliano, nato a Palermo il 1842, morto senatore del Regno il 1916, illustrò con numerosi volumi i canti, le leggende, le tradizioni, i giuochi, i proverbi della Sicilia e di altre regioni d' Italia. Raccolse anche le Novelle popolari toscane.

martedì 8 aprile 2008

Così Petrolini...

Ettore Petrolini, nasce a Roma (1884-1936) . Attore del teatro e del varietà in lingua e in dialetto romaneso, creatore di macchiette parodistiche di singolare efficacia comica, ricche talvolta di patetica umanità.
Ecco alcuni suoi "Colmi".
Il colmo dell'amore
: Nutrire per la propria amante un'affezione... cardiaca.
Il colmo della paura: Spaventarsi alla vista di una fiera... di beneficenza.
Il colmo della forza, per un freddurista: Sollevare... l'indignazione di chi lo ascolta.
Il colmo di un ingegnere: Costruire una volta...per sempre.
Il colmo di un sarto: Cucire le falde...dell'Appennino con Lago Maggiore.
Il colmo di un cane: dimenare la coda... dell'occhio.
Il colmo di un cane: Guardare... in cagnesco.
Il colmo di una gallina: Farsi venire la pelle... d'oca.
IL colmo per un sarto: Fare un discorso... scucito.
Il colmo della distrazione: Addormentarsi, dimenticando...di chiudere gli occhi.
Il colmo di una guardia di P.S. : Arrestare... un'emorragia.
Il colmo per un elettore: Votare per l'on. Astengo.
Il colmo di un prete: Bersi un Cappuccino.
Il colmo per un soldato: Restare solo in compagnia.


sabato 5 aprile 2008

Presso gli antichi Romani...

dei dodici mesi marzo era il primo, gennaio l'undicesimo, febbraio il dodicesimo. Ma dopo Giulio Cesare le calende di gennaio (ianuariae) segnarono il principio dell'anno, e fino ad ora noi conserviamo degli antichi mesi i nomi e la serie.
a) Gennaio era il mese di Giano ( si celebravano le feste essendo il dio del principio, e perciò del mattino e del primo mese dell'anno);
b) Febbraio, era il mese della purificazione e cioè si purificavano le persone e le cose e si facevano secondo il rito sacrifici espiatori agli dei;
c) Marzo,
era il mese di Marte o Ares. In Roma, Ares, era una delle principali deità e poichè aveva generato Romolo, era considerato come padre dei romani.
d) Aprile,
il mese che apre ogni germe di vita; si facevano preghiere alla dea Flora;
e) Maggio, il mese che sviluppa o rende maggiore ciò che si è schiuso alla vita, oppure mese di Maia, madre di Mercurio. Ovidio dal suo nome fa derivare quello, del mese di maggio.
f) Giugno, il mese di Giunone o di L. Giunio Bruto che cacciò da Roma i Tarquini;
g) Luglio, il mese di C. Giulio Cesare;
h) Agosto, il mese di O. Cesare Augusto;
i) Settembre, il mese settimo (dopo Marzo);
l) Ottobre, il mese ottavo;
m) Novembre, il mese nono;
n) Dicembre, il mese decimo;

F I N E

Un apologo di LEONARDO DA VINCI.

L'ostrica, il ratto e la gatta. - Sendo l'ostrica insieme colli altri pesci in casa di pescatore scaricata vicino al mare, pregò il ratto, che al mare la conduca; e 'l ratto, fatto disegno di mangiarla, la fa aprire; e mordendola, questa li serra la testa, e sì lo ferma: viene la gatta e l'uccide. (chi fa male aspetta male)

giovedì 3 aprile 2008

Così scriveva... ( ultima puntata).

Il Rione Porta Romana comprende:

1° Piazza Garibaldi. E' questa un grande e vasto terrazzo, che guarda la sottostante strada Porta Romana, e non ha bisogno di verun cangiamento.

2°. Strada Garibaldi con un vicolo. E' un'ampia e bella strada ultimamente rifatta con marciapiedi, tra non dispregevoli fabbricati.

3°. Strada Anico da Venafro ( questi è il celebre Amico Santa Barbara, del quale parla con lode il Guerrazzi) con un vicolo. Mancando questa strada della necessaria ventilazione, non trovasi in favorevoli condizioni sanitarie, e per la vicinanza delle acque è umida e sucida. Aprendosi dal vicolo, che porta lo stesso nome, una strada dritta sino all'ex Monastero del Carmine, tutto quel basso quartiere, che va compreso sotto il nome di Borgo, da lurido e malsano, ch'è, diventerebbe pulito e salubre.

4°. Strada Porta Romana. E' la più ridente strada di Venafro, tutta spirante poesia ed amore. E' come un piccol molo sopra una grande vasca di limpide acque ivi sorgenti. Quivi sono diverse fontane, ove recansi all'imbrunire del giorno le giovani figlie di Venafro ad attingere fresche e chiare acque; quivi un fiorito passeggio di donzelli e donzelle, che tutte le sere convengono al sospiro d'amore. Questa strada comunicando con la provinciale della Nunziata a Lungo, vedesi sempre animata.

5°. Lrgo Annita con un vicolo. Partecipando questo largo alla leggiadria della strada Porta Romana vedesi anch'esso voluttuoso e ridente; ciò non ostante lascia ancor molto a desiderare, sebbene sia da una piantagione d'alberi abbellito.

6°. Strada De Bellis. Il Primicerio Antonio De Bellis per un cuore ricco di carità, si rese benemerito, per più titoli, della sua terra natale. Egli faceva di sue rendite più ricco l'Ospedale esistente in Venafro; egli per testamento quivi istituiva delle scuole sì maschili che femminili, le dotava di rendita, e ne dedicava all'uopo l'intiera sua casa di abitazione; e se vi si godeva d'una biblioteca ricca di molte migliaia di volumi, era stato l'effetto, d'una sua generosa largizione. Meritatamente dunque Venafro gli si è mostrata riconoscente e grata, dando il suo nome ad una delle sue strade.
Questo rione conta 612 abitatori di stabile dimora,156 piani superiori abitati, 38 piani terranei abitati,172 famiglie.

I sopra descritti tre rioni formano propriamente l'intiero caseggiato di Venafro nel perimetro di circa 2100 metri, spazio ben ristretto per una popolazione di 4300 anime.
Il quarto rione, che prendiamo ora a descrivere chiamato Ceppagna è formato dal villaggio che ne porta il nome, e da due altri picciolissimi Casa Matteo e Noci, tutti tre distanti di un cinque chilometri da Venafro all'Ovest. Siffatto rione è abitato esclusivamente da coltivatori di terre e da pastori. Indescrivibile n'è il sudiciume; chè ogni via è ingombra di mucchi di letame in fermentazione: le strade sono strette e tortuose, e quel ch'è più, ad ogni piè sospinto t'incontri con maiali, capre, pecore, ciuchi, muli, bovi. Contiene 247 abitatori. 29 piani superiori abitati, 50 terranei abitati e 79 famiglie.

F I N E

sabato 29 marzo 2008

Così scriveva... (continuazione).

Il Rione C0lle contiene le seguenti strade:
1° Strada Giambattista della Valle con tre vicoli,che prende il nome da un illustre concittadino, Capitano insigne al servizio del Duca di Urbino e di Bracciano degli Ursini, non che scrittore egregio di cose militari (l' opera del nostro Giambattista della Valle intitolata: Il Vallo ossia Fioretti della milizia è divisa in quattro libri. Nel primo si parla de' Capitani, nel secondo degli assalti, nel terzo delle ordinanze militari per battaglioni; nel quarto de' duelli. Questo libro fu stampato in Venezia nel 1538, e non essendo stato più riprodotto, è diventato rarissimo).
Questa strada si apre larga, ariosa e leggiadra, ma giunto alla chiesa Parrochiale di Santa Maria di Loreto, bruscamente si restringe, diventando la più irregolare, oscura e sucida che si abbia Venafro.
Altro rimedio non sappiamo suggerire pel suo miglioramento, che il taglio inesorabile di molte di quelle luride casipole che s'incontrano direttamente dalla suddetta chiesa sino alla strada che mena a quella di S. Paolo.
2° Strada Della Vergine con quattro vicoli, la quale richiede, soprattutto, una più esatta livellazione e l'abbattimento delle scale abusivamente fatte innanzi all'uscio di varie abitazioni sul suolo pubblico.
3° Strada Cavour con sei vicoli. Abbastanza illustre è il nome del Conte di Cavour, pel quale l'Italia siede onorata tra le potenti nazioni d'Europa; per il che anche Venafro ne dà il nome ad una delle sue strade. La è ariosa e bella, ma si dovrebbe demolire l'arco di Porta Guglielmo per farle acquistare maggior pregio e vita. Dovrebbe pure esser prolungata dal trivio della strada della Vergine sino alla Strada Castello per dietro la chiesa di S. Antonio.
4° Finalmente questo rione comprende dodici case coloniche sparse per la campagna 1275 abitatori con stabile dimora 285 piani auperiori di case abitate, 95 terranei abitati e 351 famiglie distribuite per le diverse strade e vicoli.
Tibi plurimam salutem. I miei cordiali saluti.
Ci sentiremo alla prossima puntata.

martedì 25 marzo 2008

Così scriveva...

Francesco Primicerio Lucenteforte nella sua monografia Fisico-Economico- Morale di Venafro a riguardo del Caseggiato della nostra Città negli anni 1887-1890.
Omissis... Venafro ha una popolazione di circa 4300 abitanti. Le sue strade sono in gran parte in pendio, anguste, irregolari, e moltissimi miglioramenti richiedono e per ragioni di igiene, e per eleganza edilizia e per comodità di vita. La città è divisa in quattro rioni denominati: 1°. RIONE PIAZZA MILANO; 2° RIONE COLLE; 3° RIONE PORTA ROMANA; 4° RIONE CEPPAGNA

Nel Rione Piazza Milano sono le seguenti strade:



1°. Un largo chiamato Piazza Milano, (nella foto) posto nell'entrata della Città dalla parte degli Abruzzi.
Sarebbe un bel largo, se non vi si levasse a sfigurarlo: 1° un corpo avanzato di fabbriche
attaccato ad una torre de' tempi baronali, la quale, costruita nella metà del secolo XIV, per ordine di Maria Duchessa di Durazzo, sorella della Regina Giovanna ( Prima), sta ritta come uno spettro in mezzo al largo, conservando tuttora il triste aspetto di quei tempi rozzi e feroci. Il Municipio dovrebbe espropiare, per ragioni di pubblica utilità, quel corpo di fabbriche e demolirle; l'opera non richiederebbe molta spesa, la piazza diverrebbe più ampia e regolare, e la casa Municipale, che vi sorge dirimpetto, più appariscente; 2° una casa a quattro piani segnata col numero uno e di poco costruita sopra un'aia di circa metri quattro su cinque a forma di campanile, senz'averne l'eleganza; 3°. varie scale esterne abusivamente fatte sulla pubblica strada; 4°. finalmente certi fabbricati, che i proprietarii lasciano deformi e sucidi, nè il consiglio edilizio cura di ordinarne il miglioramento. 2°. Vicolo Marsala, deformato da due archi che lo rendono oscuro e malsano.

3°. Strada Redenzione con tre vicoli. E' una strada stretta e irregolare nè altrimenti potrebbe migliorare, che con la demolizione dell'umida e indecente chiesetta di S. Simenone coll'angolo adiacente della casa vicina. Il vicolo 1° Redenzione, nel quale vedesi una congerie di tugurii e d'infelicissimi bugigattoli, dovrebbe aprirsi sino al vicolo 2° per necessità igienica. 4°. Strada Castello che circonda l'abitato nella parte nord - est. 5°. Strada Cristo con tre vicoli. Qui si avrebbe a demolire un corpo avanzato di fabbriche ad uso di gradinata, segnato al num: 25, non che porzione della casa segnata col num.15.

6°. Strada Vittorio Emmanuele. Sarebbe questa una delle più belle e larghe strade, ma sino a che il Municipio non risolve a qualunque costo, di far costruire un muro che la sostenga e divida dai sottostanti giardini, andrà continuamente a guastarsi e restringersi per le continue e insensibili frane, cui va soggetta. Essa conduce alla piazza che porta lo stesso Augusto Nome.

7°. Strada Anfiteatro.

8° Strada Plebiscito con quattro vicoli. Si dovrebbe questa strada porre in comunicazione coll'altra bellissima detta Garibaldi, demolendo la casa segnata con n.° 48 nella strada Porta Guglielmo. Tale provvedimento vien chiesto soprattutto dall' economia della pubblica igiene.

9°. Strada Leopoldo Pilla con tre vicoli. Una via è questa che ricorda un nome celebrato e per amor di patria e per elevatezza di mente; il nome d'un Venafrano, sommo in geologia e martire dell'italiana indipendenza, caduto a Curtatone nel 1848.

10°. Srada Porta Guglielmo con due vicoli. Sarebbe ancora una bella strada. se quattro bruttissimi archi non la rendessero enormemente sconcia, e quasi priva di luce.
11°. Finalmente questo rione contiene una quantità di case coloniche, dette Masserie, sparse nella parte orientale e meridionale della campagna.
Ringrazio
Secondo l'ultimo censimento fatto al 31 Dicembre 1871, questo rione contiene 1984 abitatori fissi, 450 piani superiori di case abitate, 93 bassi terranei e 469 famigli
Vi saluto cordialmente e a risentirci alla prossima puntata. Ciao.