sabato 24 maggio 2008

LA VOLPE, IL CANE E IL GALLO.

Il cane e il gallo, fatta amicizia, viaggiavano insieme; li sorprese la notte ( mentre viaggiavano, furon colti dalle tenebre ) : andarono in un luogo selvoso ( andarono in una foresta, in un bosco ), e il gallo montò sopra un albero e s'adagiò ( s'accovacciò a proprio agio, cioè comodamente, tra i rami ); il cane sotto, nel cavo ( si sdraiò nella cavità del tronco. Si ricordi che nella parte inferiore delle piante annose si formano grosse buche e larghe aperture, che son palese testimonianza della veccchiezza dell'albero.) del troco stesso, prese sonno si addormentò. Già finiva la notte, l'alba sopraggiungeva, quando ( intendi : allora) il gallo, secondo il suo costume ( come è solito far tutte le mattine ), cominciò con gran voce a cantare. La volpe, a sentir ciò, desiderosa di mangiarselo, venne; e fermatosi sotto all'albero, gli gridò: - Oh tu sei pur l'egregio ( intendi: sei un animale che, per le tue doti, ti distingui tra gli altri ) animale ed utile agli uomini! Deh, scendi che possiamo cantare qui insieme il canto del mattino e godercela.
Ma il gallo rispose: - Fatti, amica, costà sotto alla radice dell'albero, e chiama il mio portinaio.
La volpe andò per chiamarlo; e il cane, sbalzando fuori di botto, la sbranò.

NiccolòTommaseo.

giovedì 22 maggio 2008

UN CACCIATORE NEL L'ORTO.

Certo ortolano non poteva venire a capo di salvare i suoi cavoli, chè una maledetta lepre quanti ne nasceva, tanti gliene mangiava; ond'ebbe ricorso ( ricorse, si raccomandò ) a certo cacciatore suo vicino, raccomandandosi che andasse a cacciargliela. Questi glielo promette; ed un bel giorno arriva co' cani, che, sguinzagliati sopra la lepre, la perseguitano di su e di giù, facendo maggiore danno in un'ora che la lepre in un anno. Al fine la lepre scappa: il cacciatore chiede la mancia e consiglia l'ortolano a turar le buche della siepe, donde la lepre potrebbe rientrare nel verziere.
( verziere = orto).


Francesco Domenico Guerrazzi.

Di Livorno, nato il 1804, morto nel 1873. Godette vasta fama nel secolo XIX come scrittore di romanzi. Fu anche uomo politico. I suoi scritti migliori sono i racconti semplici, le brevi e argute narrazioni lontane dalla retorica e dall'enfasi, che sono proprie dei suoi romanzi.

mercoledì 21 maggio 2008

LA FESTA IN CIELO.

Il padre degli Dei diede una volta una festa nel suo palazzo azzurro.
Furono invitate tutte le virtù, però soltanto quelle femminili; non fu ammesso nessun uomo; soltanto donne poterono recarsi alla festa.
Intervennero molte; piccole e grandi. Queste ultime erano più amabili ( perchè chi è veramente grande, non conosce nè invidie nè gelosie. E' un'acuta e bella osservazione); tutte però parevano contentissime e s'intrattenevano amichevolmente fra di loro, come si conviene tra parenti stretti e tra buoni conoscenti.
Ad un tratto l'Onnipotente s'accorse che due belle signore parevano non conoscersi.
Il padrone di casa ne prese una per mano e condottala dinanzi all'altra - La Beneficenza - disse, indicando la prima - e La Gratitudine - soggiunse, presentando la seconda.
Le due virtù rimasero confuse; dalla creazione del mondo - epoca abbastanza remota - era la prima volta che s'incontravano ( Anche nella vita vediamo sovente che la Gratitudine e la Beneficenza non si conoscono! ).

Ivano Turghenieff.

martedì 20 maggio 2008

IL MENDICANTE.

Passeggiavo per la strada; un vecchio infermo mi fermò.
Occhi infiammati; labbra livide; cenci luridi; piaghe ributtanti. Oh, come la povertà aveva mostruosamente deformato quell'essere infelice! Egli stendeva la mano rossa, gonfia, sudicia; singhiozzando implorava aiuto.
Mi frugai in tasca. Non avevo la borsa; cercavo l'orologio, il fazzoletto; avevo dimenticato tutto a casa. E il poveretto aspettava sempre, e la mano stesa tremava e si contraeva debolmente. Ero confuso, inquieto... Che fare?... strinsi forte quella mano sudicia e tremante.
- Fratello, perdonami; non ho proprio nulla con me.
Il mendìco mi fissò coi suoi occhi infiammati: le sue labbra livide s'atteggiarono a un sorriso, ed egli strinse alla sua volta le mie dita irrigidite e convulse.
- Va bene, fratello - balbettò egli- grazie. Anche questa è un'elemosina, fratello.
Commosso, sentii d'aver ricevuto io l'elemosina da un mio fratello.

Ivano Turghenieff.
Insigne romanziere russo del secolo XIX. Visse dal 1818 al 1883.

venerdì 16 maggio 2008

UNA CARITA'.

A Barcellona una sera, dinanzi ad un caffè, un povero diavolo cantava l'aria della Calunnia nel Barbiere di Siviglia ( Di Gioacchino Rossini ), accompagnandosi con una chitarra. Ridevano tutti, ma erano risa di beffa perchè la voce del cantore era rauca, e la chitarra scordata. Quando il disgraziato, che aveva la fame scritta in tutta la persona, ma più negli occhi, andò in giro per raccogliere l'elemosina, il primo a cui si accostò gli disse una villania, e il secondo gli volse le spalle. Il meschinello allora non osò proseguire il suo giro, mandò intorno uno sguardo smarrito, raccattò il berretto, che aveva deposto a terra, e fece atto di andarsene. Noi eravamo seduti lì presso, ed io aspettava, col mio obolo in mano, che il disgraziato cantore si avvicinasse. Sai tu che fece Iginio? Con uno sguardo ridente mi disse: Aspettami. Poi lasciò il tavolino e raggiunse il mendicante. " Prestami la tua chitarra " gli disse. - E là, in faccia a tutta la gente del caffè, in mezzo alla folla dei passanti che ingrossava sempre intorno a noi, cantò, come sapeva far lui, l'aria della Calunnia.
- Era una cosa bella; una cosa bella, sebbene la chitarra fosse scordata. Gli applausi che scoppiarono in ultimo mi commossero. Restituì la chitarra al poveraccio, e lo mandò in giro a raccogliere l'obolo... Ad ogni moneta che veniva buttata nel suo berretto, quell' infelice vi lasciava cadere una lagrima.

Salvatore Farina.

mercoledì 14 maggio 2008

UNO STUDENTE PIU' FURBO DEL DIAVOLO.

Il diavolo insegnava una volta nella città di Salamanca. Egli aveva dichiarato ai suoi uditori che, a corso finito, avrebbe tolto in pagamento, anima e corpo, colui che rimarrebbe ultimo nell'aula. Venuto il giorno stabilito, gli uditori traggono a sorte chi debba soddisfare il debito. Rimase ultimo uno studente, il quale, al diavolo che sta per ghermirlo, addita l'ombra propria sul muro.
Il diavolo, stimandola persona, si avventa per acciuffarla, e intanto lo studente se la svigna.


Arturo Graf.

lunedì 12 maggio 2008

GRADINO E SCALINO.

L'uso, perpetuo dominatore delle lingue vive, ha nobilitato il gradino, assegnandolo alle grandi opere di architettura, cui si ascende per maestose scalinate, e lasciando scalino ad ogni scala fatta per mero bisogno, e senza nessun ornamento... Quindi diciamo i gradini di S. Pietro, i gradini delle scale del duomo, i gradini dello scalone; ma farebbe ridere le brigate chi dicesse i gradini della scala di casa, i gradini pei quali si scende alla cantina e simili.
In quel fortunato paese ove monna Sandra e messer Pippo ( in Toscana, dove i popolani stessi parlano con mirabile proprietà, e, per la natural conoscenza della lingua, distinguono prontamente le voci proprie dalle improprie ) sono i migliori maestri di questa proprietà della lingua, camminando io tutto assorto nelle fiere memorie ( memorie della storia di Firenze ) che risvegliavano in me quelle piazze, quei palazzi e que' monumenti della toscana grandezza, urtai col piede in uno scaglione che dalla porta di una bottega sporgeva sulla via e risentitomi pel dolore gridai : Oh maledetto gradino! Il linguacciuto padrone che stava allo sportello, ghignando mi ripigliò: Lo dica pure scalino, perchè qui non siamo in chiesa.

GIUSEPPE GRASSI.

G. GRASSI, torinese, scrisse il Dizionario militare e quello dei Sinonimi. Visse dal 1779 al 1831

sabato 10 maggio 2008

I DUE VOMERI.

Da un medesimo ferro e da una medesima fucina, uscirono due vomeri; uno capitato nelle mani di un bifolco; l'altro fu deposto nel cantuccio d'una rimessa, ove giacque inoperoso e irruginì. Dopo qualche tempo gli agricoltori trassero fuori il vomero irruginito; questo guardò attorno e vide l'altro vomero liscio e lucente come uno specchio.
- Non eravamo noi uguali? - gli disse. - Chi ti rese così splendido?
- L'esercizio e il lavoro - rispose l'altro; e gli passò avanti tirato da quattro buoi.

LUIGI ALESSANDRO PARRAVICINI.

Il Parravicini, di Milano, fu scrittore educativo. ( 1800 - 1880 ).

venerdì 9 maggio 2008

IL PIPISTRELLO.

il pipistrello, appostato e ghermito dal gatto, si fece a dirgli: " Compare, credi tu di fare il tuo prediletto pasto di un topo? Non vedi alle mie ali che io non sono topo, ma uccello? e per di più sappi che la mia carne puzza di selvatico che ammorba. Lasciami andare, che ti additerò ben io dove potrai fare un fianco ( fare un pasto eccellente e abbondante) da imperatore ". Il gatto sghermì ( qui significa ritrasse le unghie e lo lasciò libero) ; e il pipistrello volò via. Poco appresso però fu preso alla rete da un cacciatore, il quale stava già per mettergli le mani addosso, quando l'amico si fece a dirgli: " Messere, avete fatto mala preda: quardatemi bene: non lo vedete? io sono un topo e non un uccello ". Il cacciatore apre le reti e il caro pipistrello leva il volo e s'allontana, beffando in cuor suo la dabbenaggine così del gatto come del cacciatore, ed esaltandosi in se medesimo della sua astuzia ( così operano molti furbacchioni che mai non mostrano chiaramente la loro natura).

Pietro FANFANI.

martedì 6 maggio 2008

LA BARA E LA CULLA.

Mastro Giosco canta allegramente, mentre sega due lunghe assi d'abete. Canta e sega Mastro Giosco. Intanto sulla soglia si ferma con la pipa fra i denti compar Pietro. Tirando due boccate di fumo, questi chiede:
- Mastro Giosco, perchè canti così allegramente? Che cosa fai?
- Faccio una bara.
- Una bara? Hai scelto due assi troppo lunghe. Che cosa farai con i pezzi d'avanzo? Son troppo piccoli, compare! ti toccherà sprecarli. Avresti dovuto scegliere due assi più corte.
- No, compar Pietro; gli avanzi mi saranno utili. Con questi due piccoli pezzi di asse, farò una culla, una piccola culla da contadini, semplice e bella.
Compar Pietro rimane pensoso; il lavoro di Mastro Giosco rapidamente progredisce; e a lui sembra di vedere in un angolo la Morte dalle vuote occhiaie ghignare sopra una fossa buia e di fronte la Vita lietamente sorridere al sole e alla luce.
Così è il mondo.
R. K. Jeretov

Riduzione di Carlo da Premia.

sabato 3 maggio 2008

FA QUELLO CHE SAI FARE

Una scimmia, un asino, un montone ed un orso si cacciarono in testa di concertare un quartetto.
Procacciàti musica e strumenti, si adunano sotto un folto gruppo di tigli. Provano, riprovano, il quartetto non va. Dice la scimmia:
- Finchè stiamo in piedi non se ne fa nulla: a sedere. Daccapo. - Gli archi raschiano, le corde stridono; fastidio, non musica.
L'asino allora:
- Ho capito: bisogna mettersi in fila.
Detto fatto. Ricominciano; peggio di prima. Intanto dall'alto dei tigli, gorgheggia un usignuolo.
- Oh! giusto te! Consigliaci.
- Cari miei, vi manca l'arte e l'orecchio; non siete nati alla musica, o ritti o seduti, o raccolti o schierati, per fare che facciate, non suonerete se campaste cent'anni.

Ferdinando Martini

Scrittore toscano nato a Monsummano il 1841; commediografo, critico, uomo politico. Fu ministro della Pubblica Istruzione.

giovedì 1 maggio 2008

NIUNO E' CONTENTO.

Uno, che aveva due figliuole, diede la prima in moglie a un ortolano e l'altra a un vasaio. Passato del tempo, andò a quella dell'ortolano e le domandò come andavano le cose sue. Ed ella: " Tutto va bene: solamente io prego il cielo che venga un pò di pioggia per annaffiare gli erbaggi".
Non molto dopo andò da quella del vasaio, e domandò anche a lei come stava. Ed ella: " Non ho bisogno di nulla: solo io prego che faccia un pò di bel tempo e si lasci vedere il sole per seccar bene i cocci" ( sono propriamente i rottami dei vasi di creta; qui è detto per cretaglie, vasi di argilla). Il padre allora: " Tu desideri il sereno, tua sorella vuol la pioggia. Per quale voi due ho io a volgere al cielo le mie preghiere?".

N. Tommaseo

Poeta, filologo, critico e uomo politico, nacque a Sebenico in Dalmazia, il 1802, morì a Firenze il 1874.
Fu prosatore incisivo.