giovedì 13 marzo 2008

I primi passi di Giuseppe Verdi.


Un critico musicale ha definito Giuseppe Verdi un contadino eroe. Nulla è più vero. C'è in lui la stoffa rude dell'uomo del solco, la purità dello sguardo assuefatto al vasto orizzonte della campagna la gagliarda salute del corpo e dell' anima che respirano a torrenti luce e ossigeno; e c'è l'eroe, la volontà tesa verso il bene, il genio di lotta e di conquista, non egoistico ma generoso, votato alla patria e all'umanità.
Era infatti un umile contadinello quello in un casolare di Ròncole, villaggio della piana parmense, cercava accordi e motivi su una vecchia spinetta ( strumento musicale a tastiera che ha preceduto il pianoforte). Suo padre ascoltava quei suoni crollando il capo: che figlio strano gli aveva dato il destino! Sempre cupo, come assorto in qualcosa di lontano e di misterioso: e pazzo, pazzo per la musica, per il suono di un organetto, per le note vitree d'un suonatore ambulante di violino! Chissà che cosa stava scritto nel futuro di quel ragazzo?
Giuseppe Verdi era nato a Roncole nel 1813, in un povero casolare, da genitori che tenevano un'umile locanda campestre e uno spaccio di vino, di tabacco e di commestibili. Si narra che fosse proprio un violinista ambulante a fargli prillare dentro l'uzzolo (fargli nascere la volontà) della musica. Gli comprarono una vecchia spinetta, e ci si esercitava a suonare e a comporre, deriso da qualcuno, osservato con interesse da altri: per esempio dall'organista di Roncole.
- Datelo a me- disse un giorno quel brav'uomo a Carlo Verdi,- ne farò qualcosa.
Ed ecco Beppino che solfeggia, ascolta, prova, fa esercizi, improvvisa, un pò nella casa tranquilla del maestro, un pò davanti all'organo in chiesa, fra ragnatele e colaticci di cera. Sotto quelle ali buone stette per cinque anni, e fece profitto che, dodicenne, poteva già sostituire l'organista vecchio e malato. Percepiva allora come stipendio dalla parrocchia una somma annua che a voi basterebbe appena per l'inchiostro stilografico: quaranta lire all'anno... Intanto studiava un pò di latino per tenersi all'onor del mondo.
Il primo balzo d'ali lo diede quando andò nella vicina cittadina di Busseto a fare il commesso e il garzone presso un commerciante che doveva poi diventare suo protettore: Antonio Barezzi. Si dà il caso che il Barezzi fosse un appassionato dilettante di flauto e sonasse il clarinetto e il basso nella banda cittadina. La casa di quell'onesto commerciante di generi coloniali era la vera accademia musicale di Busseto: ci si tenevano concerti, ci si stillava tutto il miele musicale destinato agli orecchi dei Bussetani. In quella casa armoniosa a Beppino fu permesso di esercitarsi su un pianoforte; inoltre l'organista Provesi s' interessò al giovinetto e gli prodigò lezioni e consigli. Così a sedici anni il futuro eroe dirigeva la banda di Busseto e scriveva musica molto promettente. Ma che cosa avrebbe potuto fare per tutta la vita in un piccolo centro un essere pieno di energia e di volontà come Verdi? Una borsa di studio largita dal Monte di Pietà di Busseto e arrotondata dalla generosità del Barezzi permise al giovane di recarsi a Milano per gli studi al Coservatorio. Ma a Verdi accadde com'era accaduto a Lizt (grande musicista ungherese); il Coservatorio lo respinse, perchè troppo anziano. Così Beppino dovette cercarsi un maestro che fu il Lavigna, modesto ma scrupoloso. Sotto quella guida il giovane imparò il contrappunto e l'armonia e lesse Palestrina (grande riformatore della musica sacra) e i Salmi di Benedetto Marcello(patrizio veneziano e musicista di grande valore), che ammirò finchè visse. Intanto dirigeva quache concerto e scriveva le melodie che gli erompevano dal cuore. Nel 1833 tornò a Busseto: sperava di succedere nel posto dell'organista al Provesi che era morto; ma, perseguitato da intrighi paesani, non ottenne nulla. Quelli furono anni grigi per lui: gli rivelarono il dolore e l'amarezza della lotta, ma non scalfirono il duro cristallo del suo carattere. Un dolce raggio venne a dissipare quelle ombre, quando Verdi sposò la figlia del suo benefattore, Margherita Barezzi, che tanto amava. I due sposi lasciarono presto Busseto e andarono a Milano in cerca di lavoro e di fortuna. Il 17 novembre 1839, data immemorabile! Si dà alla Scala la prima opera di G. Verdi: Oberto conte di S. Bonifacio. Il successo è ottimo. Purtroppo, l'anno dopo, l'artista è colpito da una terribile sciagura: gli muoiono la sposa e i due bimbi. L' insuccesso di una seconda opera piomba il maestro, già depresso, in uno stato di cupo sconforto. Con la rappresentazione trionfale del Nabucco (1842), opera biblica, le sue sorti si risollevano. Tutta l'Italia canta il celebre coro:

Va' pensiero sull'ali dorate...

Tutta l'Italia conosce e ammira G. Verdi. Da quel giorno la sorte dell'artista è segnata. Egli non farà che produrre e salire. Il grande operista dell'Italia moderna è in cammino. Chiuso nella casa Barezzi a Busseto, poi nella sua villa a Sant'Agata, per un trentennio martellerà sull'incudine ritmi gagliari di furore o di gioia; come il poeta cantato dal Carducci, picchiando, creerà spade per la libertà, serti di vittoria per la gloria e diademi per la bellezza.

G. E. Mottini. Dal vol. Con sette note (Hoepli, Milano).


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